Siete in
Home > News > Position Paper Isde Italia Cambiamenti climatici, salute, agricoltura e alimentazione – VI Parte

Position Paper Isde Italia Cambiamenti climatici, salute, agricoltura e alimentazione – VI Parte

Ruolo dell’agricoltura sui cambiamenti climatici ed effetti del clima sull’agricoltura e sull’alimentazione

A seguito della ratifica della Convenzione sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) e del relativo Protocollo di Kyoto, ogni paese membro è tenuto alla preparazione dell’inventario nazionale delle emissioni, adottando la metodologia IPCC(Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) per garantire la comparabilità delle stime tra i diversi paesi. L’inventario nazionale delle emissioni è suddiviso in 6 settori (Energia, Processi industriali, Solventi, Agricoltura , LULUCF (Land use, Land use change and Forestry), e Rifiuti).

Il settore Agricoltura prevede la stima delle emissioni di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) per le seguenti categorie: fermentazione enterica, gestione delle deiezioni animali, suoli agricoli, coltivazione delle risaie e combustione dei residui agricoli. Le emissioni di questi due gas-serra di origine agricola, vengono calcolati a partire da indicatori statistici di attività (statistiche ufficiali) e fattori di emissione, che includono le peculiarità presenti in ogni paese. Le emissioni di anidride carbonica (CO2) correlate al comparto agricolo vengono invece stimate e riportate nel settore LULUCF.

Negli ultimi anni si è posta molta attenzione all’impatto sui cambiamenti climatici degli allevamenti intensivi, soprattutto di bovini, per le emissioni di metano prodotto a livello intestinale.

Nel 2009 é stato pubblicato dal Worldwatch Institute l’articolo “Livestock and Climate Change” (www.worldwatch.org/files/pdf/Livestock%20and%20Climate%20Change.pdf ), in cui viene analizzato l’impatto degli allevamenti animali, considerando l’intero ciclo di vita, sulle emissioni globali di gas-serra. Tale analisi attribuisce al comparto zootecnico il 51% delle emissioni globali di gas-serraUn articolo pubblicato su Lancet nel 2007 [59] afferma che gli allevamenti sono responsabili per un quinto delle emissioni di gas serra.

L’agricoltura e la zootecnia, quindi sono corresponsabili dei cambiamenti climatici e questi a loro volta si ripercuotono pesantemente sulla produzione agricola.

Una delle conseguenze negative del riscaldamento globale sarà, infatti, un calo della produzione di cibo nel mondo a fronte di un aumento della popolazione. Le regioni più colpite saranno quelle dove già oggi esiste un problema legato alla sicurezza alimentare, mettendo in difficoltà il lavoro di agricoltori, pescatori e di tutte quelle persone che dipendono dalle risorse forestali per nutrirsi.

Le 2.600 pagine del rapporto IPCC pubblicato a marzo 2014 contengono la parola “rischio” per 230 volte, molte delle quali legate proprio alla scarsità di cibo e alla possibilità che si verifichino conflitti dovuti a un aumento delle persone che soffrono la fame. Mentre è previsto che la popolazione mondiale raggiungerà quota 9 miliardi nel 2050, la produzione di cibo si ridurrà a causa di un calo della resa dei campi agricoli, già in atto, come grano e mais.

Un riscaldamento di 2°C o più sarà in grado di penalizzare la produzione di cereali nelle zone tropicali e temperate, tuttavia con sensibili differenze in base alle regioni e alle varietà agronomiche impiegate. Oltre i 4 °C, specie se in concomitanza con un aumento della domanda di cibo, sono da attendersi importanti rischi per la sicurezza alimentare, soprattutto alle basse latitudini (fasce tropicale ed equatoriale).

Stessa sorte subirà il settore ittico. Il pescato di alcune aree marine dei tropici calerà del 40, se non del 60%, con gravi ripercussioni sulla sussistenza delle popolazioni di decine di stati insulari che basano la loro alimentazione sui “frutti” provenienti dagli oceani.

La disponibilità d’acqua di superficie e di falda potrà ridursi in modo significativo in molte regioni subtropicali già attualmente aride (e anche intorno al Mediterraneo), aumentando così la competizione per l’accesso alle risorse idriche. Inoltre, l’aumento delle temperature, della presenza di sedimenti e inquinanti minaccerà la potabilità dell’acqua anche in presenza dei metodi convenzionali di trattamento.

In qualunque parte del mondo si assisterà alle distorsioni industriali della produzione agricola, ad eventi meteorici estremi, a siccità, a proliferazione di insetti e piante infestanti che indurranno un preoccupante incremento dell’utilizzo di pesticidi e, come conseguenza, numerose patologie ad essi correlate, anche a causa della maggiore contaminazione delle falde acquifere.

Secondo l’ultimo rapporto ISPRA sulla presenza di pesticidi nelle acque, in Italia si utilizzano circa 130.000 tonnellate/anno di pesticidi, che contengono circa 400 sostanze diverseIn media, il 64% delle falde superficiali italiane sono contaminate.

Si legge nel rapporto ISPRA: “per alcune sostanze la contaminazione per frequenza, diffusione territoriale e superamento dei limiti di legge, costituisce un vero e proprio problema, in alcuni casi di dimensione nazionale”… “c’è consapevolezza … che il rischio derivante dalle sostanze chimiche sia attualmente sottostimato … è necessaria una particolare cautela anche verso i livelli di contaminazione più bassi”.

Parallelamente all’incremento dell’uso dei pesticidi, c’è un incremento dei rischi sanitari legati al loro utilizzo. Sono infatti numerose le malattie (soprattutto oncologiche, endocrino-metaboliche, neurologiche, riproduttive, respiratorie) il cui rischio aumenta in seguito ad esposizione a dosi piccole e prolungate nel tempo di pesticidi sia in età adulta che, soprattutto, nei bambini, nei quali i pesticidi possono anche causare alterazioni dello sviluppo cognitivo e neuro-comportamentale.

È rilevante sottolineare che l’esposizione si verifica non solo per motivi occupazionali, ma anche per ingestione di alimenti contaminati e per motivi residenziali (abitazioni in prossimità di campi agricoli trattati ma anche ambiti cittadini esposti a uso di insetticidi).

Diventano anche sempre più frequenti le dimostrazioni della trasmissione transgenerazionale del rischio sanitario da esposizione a pesticidi. L’esposizione materna durante la gravidanza può ad esempio aumentare il rischio di leucemia infantile , di tumori cerebrali in età pediatrica (anche in seguito a esposizione pre-concezionale del padre), può influenzare il fenotipo metabolico dei figli attraverso meccanismi di programmazione fetale che determinano, ad esempio, alterazioni dell’espressione genica e successiva comparsa di obesità.

È in corso un crescente e vivace dibattito internazionale sulla pericolosità biologica del glifosato, uno degli erbicidi più utilizzati al mondo, recentemente classificato dalla IARC come “probabile cancerogeno”. Indipendentemente dai possibili effetti cancerogeni e oltre

ai ben noti (e indiscussi) effetti negativi sull’ambiente, autorevoli evidenze scientifiche indicano un ruolo causale per effetti sanitari non oncologici sia negli animali che negli esseri umani, anche per dosi ultra-basse assunte cronicamente, rendendo consigliabile un rapido e definitivo abbandono del suo utilizzo (http://www.isde.org/glyphosate_appeal.pdf).

Proprio la storia del glifosato ci insegna, tuttavia, che l’utilizzo di queste sostanze non sia così indispensabile come vorrebbero farci credere. Tra i “sostenitori” della chimica in agricoltura è dominante la previsione di catastrofi colturali e alimentari in caso di sospensione dell’utilizzo di glifosato. In realtà, gli esseri umani hanno vissuto bene senza glifosato fino alla fine del XX secolo. Questa sostanza è stata introdotta nel mercato nel 1974. I dati statistici dimostrano un drammatico incremento dell’utilizzo di glifosato per la coltivazione della soia in USA tra il 2002 e il 2014, con incremento solo modesto nella produzione ma, nello stesso intervallo temporale, con un incremento significativo delle erbe infestanti resistenti al trattamento. Assistiamo oggi ad un incremento delle conseguenze ambientali e sanitarie dell’uso di glifosato (e dei suoi co-formulanti, persino più pericolosi) e delle resistenze ad esso, che lo renderanno presto inutile. D’altra parte abbiamo la possibilità, come sempre accade, di alternative sostenibili al suo utilizzo (http://www.pan-europe.info/resources/reports/2017/10/alternative-methods-weed-management-glyphosate-and-other-herbicides ).

L’utilizzo del glifosato e, più in generale, dei pesticidi, è incompatibile con un futuro basato sulla salubrità dell’ambiente, sulla tutela della salute umana e sulla difesa della biodiversità e le modificazioni climatiche potranno solo aggravare la situazione.

Il percorso verso un’agricoltura “a misura d’uomo” è la chiave necessaria per affacciarsi su un futuro nel quale la tutela di ambiente e salute e il rispetto dei diritti primari delle Comunità devono tornare ad avere la priorità che gli spetta nella nostra scala di valori.

È ormai inderogabile la scelta di soluzioni sostenibili che riportino al primo posto i reali bisogni delle Comunità e la tutela dell’ambiente, scalzando gli interessi di forme imprenditoriali sempre più aggressive.

È dunque urgente tornare a pratiche agricole che non debbano essere sostenute dall’uso di pesticidi, privilegiando colture a destinazione alimentare, produzioni commisurate a reali fabbisogni delle Comunità, fertilizzanti organici derivati da compostaggio aerobico, tecniche agronomiche che incrementino la fertilità dei suoli, incentivino la biodiversità e preservino la qualità delle acque e degli alimenti.

ISDE ITALIA

Pasquale Milo – Isde Latina

339 2918827

Top